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Sulla Scrittura

Aggiornamento: 11 mar 2019


Parole. La scrittura è solo parole? No, un insieme di parole non diventa automaticamente scrittura.

Parole insieme alla punteggiatura è scrittura? No, aggiungere la punteggiatura non basta.

Parole congiuntamente alla punteggiatura è scrittura! No, ancora non basta.

Parole, punteggiatura e senso compiuto è scrittura? No, questi tre elementi non bastano per definire la scrittura, potrebbero comporla ma non la completano, bisogna spingersi più avanti, andare oltre.

Perché tutti nella vita uniamo questi tre fattori e non tutti possiamo definirci scrittori.

Le parole singole sono le prime che ogni genitore anela dal proprio figlio, aspettando con ansia quale sia la parola primaria che il pargolo ripeterà storpiata, tritata da un sistema fonetico ancora insicuro; poi arriveranno le correzioni affettuose prima e quelle più decise dopo, a scuola.

Insieme a queste arriveranno le prime lettere, quei segni all’apparenza solo disegnati ma che prenderanno corpo con l’età, poi la punteggiatura, che darà la giusta frequenza alle parole prima e alle frasi poi, solo a questo punto ci sarà un senso compiuto nelle parole.

Basta allora questo per definire la scrittura? Ancora no, ancora siamo lontani, proviamo con la narrazione, parole più punteggiatura più senso compiuto più narrazione uguale a scrittura?

No, narrare non corrisponde a scrittura, tutti narriamo, per esempio Stephen Jay Gould, nel suo So Near and Yet so Far ( «New York Review of Books», 17 ott. 1995), dice: «Siamo creature che raccontano storie [storytelling creatures], e la nostra specie avrebbe dovuto essere chiamata Homo narrator (o forse Homo mendax per riconoscere l’aspetto fuorviante che c’è nella narrazione di storie) anziché con il termine spesso non appropriato di Homo sapiens. La modalità narrativa ci riesce naturale, come uno stile per organizzare pensieri e idee».

Ecco, tutti narriamo, fin da piccoli, in tenera età narriamo mondi fantastici e solitari, abbondanti di forme e nomi sconosciuti, poi cresciamo e le nostre storie diventano più complicate o più semplici a seconda del contesto.

Raccontiamo, prima a noi stessi e poi ad altri, questo meccanismo si mette in funzione fin da subito, quando comprendiamo l’importanza del linguaggio, bambini che raccontano le loro avventure ai genitori, e saranno storie allegre o tristi, scivoleranno via o resteranno impresse per tanto tempo; poi le narrazioni cambieranno con l’età, con i rapporti umani, con le singole persone, saranno fredde e circoscritte, fugaci o dettagliate, una giornata al mare o una semplice domanda: come è andata oggi? E così una vecchia coppia malconcia si racconterà tutte quelle quotidianità oramai stantie, ma nei casi migliori saranno comunque piene di affetto, e così per tutte quelle piccole o grandi sciocchezze che tutti ci narriamo a vicenda, che sia un incontro o uno scontro, una passeggiata o una complicata giornata di lavoro, che sia straziante di amore non corrisposto o pettegolezzo indiscreto.

Ma alla fine cos’è la scrittura? Difficile rispondere in realtà, potrebbe essere tutto questo e altro, tutto questo e nient’altro, oppure come la psicologia della forma insegna: il tutto è più della somma delle parti.

Voltaire diceva che la “scrittura è la pittura della voce”, per Italo Calvino “scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che poi venga scoperto”, Francis Scott Fitzgerald diceva “scrivere bene è sempre nuotare sott’acqua e trattenere il fiato”, Ernest Hemingway lapidario osservava “non c’è niente di speciale nella scrittura. Devi solo sederti davanti alla macchina da scrivere e metterti a sanguinare”, per Jorge Luis Borges “scrivere non è niente più di un sogno che porta consiglio”, e potremmo andare così avanti all’infinito...



Cefalì Gianfranco



Immagine:

Portrait of Emilio Terry (detail)

Salvador Dalì

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